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A confronto con le sfide dell'educazione


Il 27 settembre, è un lungo viaggio attraverso i meridiani e i parallelix, in ascolto delle sfide contemporanee all'educazione, soprattutto dei giovani.


Al centro ci sono la relazione di fondo del prof. Quentin Wodon, Lead Economist della World Bank, e i "respondent" dai cinque continenti.


Nel suo intervento "Education for integral human development at a time of crisis" il prof. Wodon, collegato da Washington (Stati Uniti), descrive alcune tra le sfide globali, ma sottolinea fortemente come l'investire in educazione è assicurare cittadinanza a tutti, soprattutto per le ragazze e le donne.

La relazione presenta alcuni dei programmi e delle politiche che potrebbero porre fine alla crisi dell'apprendimento, l'importanza di includere un focus sui valori nell'istruzione e il contributo particolare dei fornitori di sistemi educativi nazionali basati sulla fede.

Infine, si sofferma su alcune opportunità specifiche per le scuole e le università cattoliche relative al coinvolgimento degli studenti, all'apprendimento dei servizi e alla loro impronta globale.


CCon il prof. Bernardo Toro, fondatore e direttore della "Revista Educación Hoy", dalla Colombia, inizia il "viaggio" di risposta e di approfondimento, di reazione e di integrazione dell'intervento del prof. Wodon.


L'ottica proposta da Toro è la "pedagogia della cura". Imparare a prendersi cura è il nuovo paradigma etico della civiltà per superare le sfide del riscaldamento globale e della disuguaglianza. Il raggiungimento di nuovi livelli di umanizzazione richiede di imparare a prenderci cura in un processo che va dall’io al noi, a un noi ancora più grande: da noi stessi (corpo e spirito) agli altri; prendersi cura di chi ci sta vicino (legami emotivi); dei lontani (le istituzioni); di chi ci è estraneo (cura dei beni pubblici)".

Vania Cheng, docente di Ecclesiologia all'Holy Spirit Seminary di Hong Kong, sottolinea che "L'Asia, il continente più giovane e popolato, è una realtà complessa, molto diversificata e sfaccettata. Con queste caratteristiche estremamente diverse, si aprono alcune riflessioni sull'educazione in rapporto con i diritti umani e la libertà religiosa. La crisi che sta affrontando l'umanità non è più il problema di un’entità, ma di tutti. Il discernimento collettivo e la collaborazione tra organizzazioni, religioni, popoli e nazioni potrebbe essere una prospettiva che le scuole cattoliche dovrebbero esplorare per rispondere a queste sfide?".


Dall'Australia, l'on. Jacinta Collins, direttore esecutivo della National Catholic Education Commission, riflette su come "L'educazione al bene comune è sia al centro dell'educazione cattolica nel mondo sia anche una visione condivisa dalle Nazioni Unite. Però questo non è sufficiente. È urgente “misurare” le ricadute di questo sforzo sulla prosperità umana, sullo sviluppo accademico, sul benessere fisico ed emotivo, sulla spiritualità e la divulgazione".


"Che cosa significa educare in Europa? - si chiede la prof.ssa Alessandra Smerilli, Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano -. La questione è complessa. Dall’osservatorio particolare che mi è offerto in questa fase della mia vita suggerisco alcuni tratti dei giovani europei, che non sono a mio parere da sottovalutare".

I giovani europei hanno un tipo di intelligenza che non appartiene alle precedenti generazioni, hanno più chiaro degli adulti che quella climatica è una sfida epocale che chiede la conversione ecologica di cui parla papa Francesco; sono spesso accusati di analfabetismo religioso, ma di fatto ci chiedono di cambiare, perché l’adulto non è più significativo per loro.

Per rispondere a queste “interpellanze” del mondo giovanile, dobbiamo essere capaci di letture sapienziali oltre che sociologiche, che non ci situano solo nel “qui e ora”, ma ci proiettano dentro la storia, in quel fluire delle generazioni che è il mistero d'amore di Dio sull'uomo: “Se la creazione è un’opera perfetta perché non è compiuta, se lo Spirito fa nuove tutte le cose e ci porterà pian piano alla Verità tutta intera, se Dio non smette di parlare, allora c’è una parola che le nuove generazioni hanno da dirci in tal senso. E dunque il narrare e l’ascoltare diventano reciproci, simboli di quell’alleanza uomini-donne, giovani-adulti, a cui è stata affidata la terra”.


La prof.ssa Albertine Tshibilondi Ngoyi, del Centre d’Études Africaines et de Recherches Interculturelles della Repubblica Democratica del Congo, interviene circa l'empowerment delle donne in Africa. “L'Africa è una e plurale - esordisce. Ci sono differenze dal Nord al Sud dell'immenso continente, ma tuttavia si possono rilevare alcune costanti: senza le donne, l'Africa non può stare in piedi; tante attività iniziate dalle donne molte volte rimangono invisibili, anche se hanno una ricaduta sociale non indifferente; la donna africana è madre e sposa, ma soprattutto educatrice: anche se analfabeta, ella trasmette valori ai figli".

La relatrice sostiene che "la donna potrebbe essere ancora più incisiva, fare molto di più di quanto già fa, se potesse accedere all'istruzione, perché la sua formazione avrebbe una grande ricaduta sulla vita dei popoli e delle nazioni".

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